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Mentre in tutto il mondo, inclusa l’Italia, la libertà di stampa è sotto attacco tra querele temerarie, sanzioni penali, richieste di rettifica immotivate, la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene alta la guardia nell’assicurare la protezione dei giornalisti che esercitano il diritto alla libertà di espressione.

Una tutela rafforzata, quella assicurata da Strasburgo, perché i giornalisti non solo esercitano un proprio diritto ma consentono a ogni individuo di ricevere informazioni su fatti scottanti e di interesse pubblico. Proprio per questo, la Corte è chiara nello stabilire che una sanzione penale indirizzata a un giornalista è una delle forme di ingerenza più serie, applicabile solo in via eccezionale.

Due, in ordine di tempo, le sentenze depositate, da ultimo, da Strasburgo. Con la pronuncia del 12 luglio, nel caso Reichman contro Francia (ricorso n. 50147/11), la Corte europea ha stabilito che la condanna di un giornalista pronunciata dai giudici d’oltralpe era contraria alla Convenzione dei diritti dell’uomo (articolo 10, che assicura la libertà di espressione) perché non si può imputare a un cronista di essere venuto meno ai propri doveri deontologici solo perché non può provare la verità di un’affermazione che contiene un giudizio di valore. E questo se il giornalista ha agito in buona fede e ha comunicato una notizia di interesse pubblico.

Al centro del procedimento, un reporter di una radio francese che, nel corso di una trasmissione radiofonica, aveva accusato il vicepresidente della società di cattiva gestione, invocando accertamenti sui bilanci. Il conduttore era stato denunciato e condannato per diffamazione dai giudici nazionali, ma la Corte di Strasburgo, adita dal cronista, gli ha dato ragione obbligando per di più la Francia a versargli 5mila euro per i danni morali. Come primo punto, la Corte europea ha chiarito che i giudici nazionali sono tenuti ad applicare i parametri fissati nella giurisprudenza di Strasburgo (e questo, giova ricordarlo, vale anche con riferimento alle autorità di tutti gli Stati parti alla Convenzione, inclusa l’Italia).

Strasburgo ha poi stabilito che al ricorrente andava riconosciuta la forma più ampia di tutela prevista dall’articolo 10 perché si trattava di un giornalista che aveva espresso le sue dichiarazioni nella trasmissione radiofonica da lui condotta. La Corte riconosce che il cronista aveva affermato che “la situazione finanziaria della radio (…) aveva dato luogo a certe acrobazie”, con dubbi circa l’ortodossia di taluni comportamenti, senza fornire fatti precisi su possibili irregolarità nella gestione finanziaria dell’emittente. Tuttavia, i tribunali interni si sono limitati a bollare le affermazioni come allusive e senza prove, presumendo così la malafede del giornalista.

Un errore, tanto più che si trattava di un giudizio di valore che aveva una base fattuale sufficiente perché il conduttore si era basato su due documenti che mostravano il cattivo stato finanziario dell’emittente, elemento che porta i giudici internazionali ad escludere che le affermazioni del giornalista rientrino nella pura invettiva. Tanto più – osserva la Corte – che in presenza di documenti ufficiali non si deve chiedere al giornalista di compiere ulteriori ricerche indipendenti. Senza dimenticare che le sanzioni penali minano la libertà di stampa.

Pochi giorni prima, il 5 luglio, la Corte europea aveva condannato la Polonia nel caso Ziembinski (ricorso n. 1799/07) a causa di una pronuncia per diffamazione a carico di un giornalista che aveva criticato, con toni aspri, un sindaco. La Corte ha dato ragione al reporter perché è vero che alcune espressioni da lui utilizzate come “stupido” e “lento a capire” sono in sé offensive, ma i giornalisti hanno diritto a scegliere lo stile, utilizzando sarcasmo e ironia anche eccessivi. La Convenzione, infatti, protegge non solo la notizia, ma anche le scelte stilistiche, in particolare quando oggetto degli articoli sono politici, che hanno un obbligo di tolleranza maggiore, e dipendenti pubblici.

Non ha così superato il vaglio di Strasburgo la decisione dei giudici nazionali che si sono limitati a estrapolare le singole espressioni senza tenere conto del contesto generale. “Un livello di esagerazione – osserva Strasburgo – e di provocazione è permesso al giornalista” e questo anche quando arriva a un certo grado di intemperanza e a taluni eccessi. Così, anche la Polonia è stata condannata a versare 4mila euro al cronista.

*Marina Castellaneta è professore associato di diritto internazionale

Fonte: www.fnsi.it

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