Formazione

di Michele Anzaldi

I giornalisti da quest’anno sono alle prese con la novità dei corsi di formazione obbligatoria. Intorno a quella che poteva costituire un’occasione di aggiornamento e di crescita professionale, soprattutto per la parte più debole della professione, si sono moltiplicate nelle ultime settimane le segnalazioni di vere e proprie distorsioni.

I corsi nascono dalla norma, contenuta nella riforma Severino degli ordini professionali, che recepisce una specifica direttiva europea. L’applicazione per i giornalisti, però, è avvenuta, senza un dibattito interno sul tipo di formazione utile alla categoria e, quindi, in maniera burocratica. L’Ordine dei giornalisti è un lascito di epoca fascista, riformato nel 1963 è da allora rimasto più o meno immutato mentre la categoria faceva i conti con l’evoluzione della professione ed oggi è alle prese con una crisi senza precedenti. Difficile paragonare i cronisti ad avvocati, architetti, ingegneri e commercialisti. La categoria, rappresentata nell’ordine professionale nazionale, ha però, messo a punto un regolamento attuativo della legge che non ha adeguatamente declinato le norme alle esigenze reali della categoria.

Così ci troviamo di fronte al paradosso per cui tutti i giornalisti indistintamente (professionisti e pubblicisti) debbano partecipare ai corsi, dal neo redattore all’autorevole direttore con decenni di mestiere alle spalle. E così giornalisti graduati possono trovarsi a dover partecipare ad un corso tenuto, magari, da un loro redattore mentre poche sono le esenzioni dall’obbligo formativo. A creare maggiori problemi, però, è l’impossibilità per tutti gli ordini regionali a far fronte a tutte le richieste dei giornalisti (110 mila circa in tutta Italia), che se non maturano i crediti vanno incontro a sanzioni disciplinari. I corsi ufficiali e accreditati dagli ordini in molte regioni, soprattutto le maggiori, fanno fatica a soddisfare la domanda e i corsi, sottoposti peraltro ad un iter burocratico, sono già pieni da settimane, fino alla fine dell’anno con il risultato che per ottemperare alla normativa si ricorre anche ai corsi a pagamento. I cronisti devono quindi partecipare a proprie spese (si parla di costi anche di 700 euro) a corsi di formazione, sacrificando anche l’orario di lavoro. Per un freelance, ad esempio, la perdita è doppia: deve pagare il corso e durante le lezioni non può lavorare, perdendo quindi anche la retribuzione. Di fatto si sta alimentando una vera e propria speculazione, che colpisce in particolare i meno garantiti e i precari.

Di fronte a questa situazione, ho proposto la presentazione di un emendamento ad hoc, nel primo provvedimento utile all’esame del parlamento, per rivedere almeno il regolamento applicativo della legge Severino. È chiaro che per la professione giornalistica esistono anche altre priorità, come la riforma dell’Ordine fermo a cinquanta anni fa, ma appare singolare che un settore già fortemente penalizzato dalla crisi economica e dalle ristrutturazioni aziendali debba subire anche il disagio di una norma scritta male e applicata peggio. Dagli ordini regionali sono arrivati molti riscontri positivi all’idea di mettere mano alla questione, mi auguro che anche l’Ordine nazionale ascolti la voce degli iscritti, per facilitare il lavoro a chi riveste la fondamentale funzione di informare in nome dei cittadini.

Link: http://www.huffingtonpost.it/michele-anzaldi/riscrivere-norma-formazione-obbligatoria-giornalisti_b_6121776.html

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