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Condoni e punti ai relatori. I corsi burletta per giornalisti

La formazione obbligatoria tra norme surreali e pochi controlli. Chi non segue i corsi compie per legge un illecito ma non esistono vere sanzioni

di Sergio Rizzo

Capita anche questo, nel teatrino della formazione continua per giornalisti. Capita di assistere a un corso di deontologia organizzato nella sede e con esponenti del Parlamento europeo (il cui portavoce, per inciso, deontologicamente non rende noti i nomi degli ex eurodeputati che incassano il vitalizio perché «coperti dalla privacy») dal titolo alla Massimo Troisi: «Giornalismo ed Europa. Si riparte da Tre». Succede pure che il suddetto corso faccia da cornice alla consegna del premio «Capitani dell’anno 2014 all’on. Antonio Tajani, vicepresidente vicario del Parlamento europeo, per le sue efficaci iniziative a sostegno dell’imprenditoria». E alla fine, crediti formativi per tutti! Anche ai formatori: cioè i relatori. Il premiato Tajani, giornalista tuttora iscritto all’Albo, li avrà avuti anche lui?

L’episodio dice tutto della piega grottesca che ha preso questa faccenda. Tanto da far dire a Carlo Picozza, responsabile della formazione all’Ordine di Roma: «Sono schifato». Invece la presidente Paola Spadari si paragona al bambino olandese Hans Brinker che tappa con il dito il buco nella diga: «Solo nel Lazio dovremmo erogare più di un milione di crediti in tre anni». Siccome però il dito non può reggere all’infinito, fatalmente la diga viene giù. Così il 19 dicembre chi dei 20 mila iscritti all’Ordine dei giornalisti del Lazio non si è ancora accaparrato il minimo dei 15 crediti stabiliti, può partecipare a un Credit-Day durante il quale si procederà alla distribuzione gratis dei punti mancanti. Un condono in piena regola.

Ma partiamo dall’inizio. È settembre del 2011: lo spread galoppa e l’ultimo governo di Silvio Berlusconi deve mettere mano all’ultima disperata manovra. Lì dentro spunta a sorpresa una norma attuativa di una direttiva comunitaria, con la quale si decreta l’obbligo della formazione continua per gli iscritti a ogni Ordine professionale. Giornalisti compresi. Norma assurda, perché la direttiva ha lo scopo evidente di tutelare i clienti delle professioni, mentre i giornalisti non hanno «clienti» in senso stretto. Di più. «Il fatto di essere iscritti a un Albo fa dei giornalisti italiani gli unici in Europa soggetti a quell’obbligo», aggiunge la segretaria dell’Ordine del Lazio Silvia Resta.

Nessuno però si commuove. L’Ordine nazionale partorisce un regolamento prevedendo l’obbligo di collezionare almeno 60 crediti in tre anni, con un minimo annuo di 15. Come si raccolgono? Innanzitutto con i corsi del medesimo Ordine. Gratuiti, ovvio (anche se quello organizzato a giugno dall’Ordine della Lombardia con docente Raffaele Fiengo, già giornalista del Corriere e storico sindacalista del nostro giornale, costava 50 euro). Poi frequentando convegni. Pure «in qualità di relatore», com’è per esempio avvenuto al corso con premio incorporato del quale abbiamo parlato, dove relazionava il vice dell’Ordine laziale Gino Falleri: semplicemente surreale. Finisce così che si raccattano crediti partecipando alle presentazioni di libri (surreale bis!), come pubblico e come presentatore. Mentre per regolamento, ovvio, ne ha diritto pure l’autore. Per non parlare di chi insegna all’università, oppure segue corsi di formazione «organizzati da aziende, istituzioni pubbliche e private e altri soggetti». E qui l’Ordine emana prontamente una serie di «disposizione attuative» per stabilire chi può tenere quei corsi. A pagamento, s’intende: ogni corso può costare fino a 220 euro a persona.

Facile immaginare ciò che si scatena. Soltanto l’Ordine nazionale concede ben 44 autorizzazioni. Ci sono alcune università. Il Centro documentazione giornalistica, che edita l’Agenda del giornalista. Il Sole 24ore della Confindustria. Il Campus Multimediale che fa capo a Mediaset e alla Iulm. La Pegaso di Napoli: ateneo telematico che gestisce Accademia Forza Italia, scuola di formazione politica di Berlusconi. La Espero srl di proprietà di Luigi Danieli, consigliere comunale milanese del Pd. La Mc relazioni pubbliche di Sassari, specializzata nella «formazione medico scientifica» (ha fatto corsi per la Asl di Cagliari), al pari della Hc training di Roma. E ancora la Ad Formandum di Trieste, esperta nella formazione di scuola alberghiera. E la Know-k di Foggia che ha nell’oggetto sociale «servizi informatici e commercio all’ingrosso» di macchine per ufficio. E la Fondazione Courmayeur Mont Blanc. E la Umana Forma di Luigi Brugnaro. E la Greenaccord di Roma, «associazione culturale per la salvaguardia del Creato» che espone fra i soci onorari, le massime autorità religiose e una gragnuola di politici: da Renato Schifani a Stefania Prestigiacomo a Piero Marrazzo a Enrico Gasbarra…

Che senso ha tutto ciò? Non ce l’ha per i giornalisti: anche perché nessuno controlla la qualità di questa formazione. Né per il pubblico, che non avrà un’informazione migliore. Ce l’ha invece per il costoso e pletorico Ordine dei giornalisti, governato da 120 (centoventi) consiglieri nazionali, la cui discutibile utilità è stata rianimata da una più che discutibile legge. Come ce l’ha, eccome, per chi si mette in tasca i soldi contando sul timore dei giornalisti di subire sanzioni. Che però non esistono. E qui si tocca l’apice. La legge dice che non formarsi è un illecito disciplinare che gli Ordini devono punire, ma tutto finirà nella solita burletta. Possiamo scommetterci. Il regolamento dei giornalisti prevede questa unica sanzione: «Il mancato assolvimento dell’obbligo formativo è ostativo all’attribuzione di incarichi deliberati dal Consiglio nazionale». No corso? Ahi, ahi, ahi… No poltrona!

Fonte: http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_30/condoni-punti-relatori-corsi-burletta-giornalisti-fa422a40-7868-11e4-9707-4e704182e518.shtml

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