“L’odio può generare solo violenza!” c’era scritto su alcune magliette di migranti che contestavano in questi giorni il leader leghista Matteo Salvini. Gli esempi non mancano, un lungo elenco quotidiano frutto della paura e dell’ignoranza che domina in molta parte del Paese. Uno degli ultimi episodi in provincia di Mantova dove un immigrato africano ha avvicinato (solo avvicinato) una donna e sui social network sono immediatamente comparsi migliaia di commenti. Il più gentile era “questi qua bisogna bruciarli”.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito al lancio a livello nazionale – e il clima elettorale in vista delle regionali di maggio  certamente ha contribuito –  di una nuova campagna di odio verso il diverso, immigrato, Rom o Sinti che sia. Il tutto grazie ad un profluvio di talk e trasmissioni televisive che rilanciano messaggi espliciti: “Questi qua vivono sulle nostre spalle, sono violenti, portano disordine e malattie e rubano il lavoro agli italiani!”.
Messaggi che vengono accompagnati dall’utilizzo sapiente di trucchi del mestiere: gli immigrati vengono ripresi in atteggiamenti furtivi, spesso da lontano, con una finta candid camera, mentre passeggiano o chiacchierano tra di loro con il sottofondo il più delle volte di una musica da thriller.

In studio gli ospiti prescelti dagli autori delle trasmissioni non fanno altro che alimentare una lettura xenofoba delle vicende, trasformando singoli episodi in paradigmi generali senza offrire allo spettatore dati, cifre, statistiche che consentano di avere una visione generale dei problemi.

Ora è arrivato il momento di reagire, di affermare con forza che l’odio e l’ignoranza non possono far altro che generare altro odio e violenza. Che – solo per fare un esempio  – quello che è successo nel maggio del 2008 nel quartiere napoletano di Ponticelli, quando fu messa in atto una sorta di operazione di pulizia etnica ai danni di un gruppo di Rom e Sinti e il loro accampamento fu dato alle fiamme  da  un comitato locale di protesta,  potrebbe ripetersi.  La scintilla scoppiò dopo che una ragazza Rom venne accusata del tentato sequestro di una bambina. All’epoca tutti i media sposarono subito  la tesi del tentato rapimento per poi, solo molti giorni dopo,  fare una invisibile marcia indietro quando si scoprì che all’origine della vicenda c’era una montatura, un pretesto finalizzato a  “ risolvere una volte per tutte il problema del campo nomadi”.

Il seme dell’odio è stato lanciato. Una parte dell’informazione, televisiva e non solo, sta fornendo in maniera consapevole il suo contributo.  Inutile dire che i problemi sono tanti e devono essere affrontati rapidamente:  il dramma umanitario al largo delle nostre coste è davanti agli occhi di tutti, come pure le carenze sull’accoglienza oppure l’annosa  questione sicurezza nelle nostre periferie. Detto ciò l’ incitamento all’odio non risolve nulla anzi non fa che amplificare le ingiustizie. La ricerca del nemico ad ogni costo, per avere un utile capro espiatorio sul quale riversare le tante inefficienze e problemi non solo non aiuta a risolverli ma ci allontana irrimediabilmente dalle soluzioni.

Pietro Suber, vicepresidente Carta di Roma

 

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