renzi

Il Festival del Giornalismo non poteva che chiudersi con l’attualità: a Perugia si parla di leader politici del passato e del presente e del loro rapporto con la stampa.

Il titolo della tavola rotonda, lo dicono anche i protagonisti, è fuorviante. Certo, di politici che odiano i giornalisti è piena sia la Prima che la Seconda Repubblica, ma il passaggio da Bettino Craxi a Matteo Renzi è davvero epocale. Qualche analogia, ma moltissime le differenze.

Il percorso suggerito da Stefano Menichini, direttore di “Europa”, Maria Teresa Meli del “Corriere della Sera”, Goffredo De Marchis di “Repubblica” e Alessandra Sardoni, presidente dell’associazione della stampa parlamentare, passa necessariamente da un mea culpa della professione giornalistica italiana. Poca obiettività e incapacità di leggere la politica in modo distaccato, questa la critica da fare. È un vizio che si sta ripetendo anche con l’attuale premier. O renziani, o antirenziani, la scelta pare questa.

Ma il carattere particolarmente divisivo del presidente del Consiglio è solo un aspetto che influenza questa situazione. Perché, come viene spiegato, da sempre la stampa nostrana è affascinata dai ritratti “titanici”, in positivo o in negativo. Ciò che conta è dipingere un personaggio pubblico, meglio se particolarmente carismatico, come un gigante assoluto. E questo ha allontanato il giornalismo politico dalla verità dei fatti: concentrati com’erano a criticare o esaltare le doti caratteriali del politico, i cronisti hanno lasciato sullo sfondo i programmi, le promesse non mantenute, gli errori strategici dei governi. In questo, in effetti, un filo conduttore va da Craxi a Renzi,  passando ovviamente per Silvio Berlusconi.

Ma c’è qualcosa, però, che distingue l’attuale segretario del Partito democratico. Se i giornalisti rischiano di semplificare troppo e commettere con lui gli stessi sbagli del passato, non si può certo dire che il premier abbia verso l’opinione pubblica lo stesso atteggiamento di altri leader carismatici, anche interni alla sinistra del passato. La sua disinvoltura nella comunicazione diretta attraverso i social network o altri strumenti di diffusione diretta del proprio pensiero, fanno di Renzi un politico difficilmente accostabile a scomodi paragoni.

La sua difficoltosa definizione da parte della stampa è anche dovuta alla sua lontananza dalle abitudini e dai costumi abituali dell’apparato dirigente del Pd. Nonostante l’allergia per la definizione di “uomo solo al comando”, anche il centrosinistra deve ora fare i conti con un leader che sposa la filosofia delle primarie al cento per cento. Non ci sono mezze vittorie o mezze sconfitte, chi ottiene il consenso guida il partito, o la coalizione,  fino a quando sopraggiungerà qualcuno capace di batterlo. Un atteggiamento che desta insofferenza ai vertici di un partito che ha sempre fatto della collegialità un dogma irrinunciabile.

di Giancarlo Usai

4 maggio 2014 - www.rainews.it

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