Antonio Ricci

Nel dibattito parlamentare e nelle polemiche sul ddl dedicato alle registrazioni e alle intercettazioni vale la pena tener presente la sentenza (ottobre 2013) della Corte Europea per i diritti dell’uomo che ha deliberato proprio sulla trasmissione di una registrazione fuori onda dichiarando che da parte della Giustizia italiana “vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

E’ quanto si legge in una nota, diffusa il 26 luglio, dal programma tv ‘Striscia la notizia’ in merito alla questione intercettazioni. “Il procedimento giudiziario oggetto della sentenza era nato dalla messa in onda su Striscia la notizia di due servizi su una lite fuori onda fra Busi e Vattimo nel dietro le quinte della trasmissione Rai ‘L’altra edicola’. Contro le sentenze favorevoli a Vattimo e alla Rai, Antonio Ricci si era appellato alla Corte per i diritti dell’uomo, invocando la violazione dell’articolo 10 che recita: “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.

Un principio ribadito dalla Corte, ma messo in discussione di nuovo nel corso della elaborazione del ddl in discussione, malgrado le parole dei giudici di Strasburgo: “La libertà di stampa risulta essere ancor più importante nelle circostanze in cui le attività e le decisioni statali, in ragione della loro natura riservata o segreta, sfuggono al controllo democratico o giudiziario. La condanna di un giornalista per divulgazione di informazioni considerate riservate o segrete può dissuadere i professionisti dei media dall’informare il pubblico su questioni di interesse generale. In simili casi, la stampa potrebbe non essere più idonea a svolgere il suo ruolo indispensabile di «cane da guardia» e la sua attitudine a fornire informazioni precise e affidabili potrebbe essere affievolita”.

Un’ultima annotazione a proposito delle pene detentive: “Resta il fatto che la natura e la severità delle pene inflitte sono elementi da prendere ugualmente in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza. Nella fattispecie, oltre al risarcimento dei danni, il ricorrente è stato condannato a quattro mesi e cinque giorni di reclusione. Nonostante gli sia stata accordata la sospensione condizionale della pena e benché la Corte di cassazione abbia dichiarato il reato prescritto, la Corte in particolare ritiene che il fatto di infliggere una pena detentiva abbia potuto avere un effetto dissuasivo significativo. Peraltro, il caso di specie, che aveva ad oggetto la diffusione di un video il cui contenuto non era di natura tale da provocare un pregiudizio importante, non era segnato da alcuna circostanza eccezionale tale da giustificare il ricorso ad una sanzione così severa”.

Fonte: www.primaonline.it

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