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Tutte le grandi concessionarie pubblicitarie – della televisione, della radio, della stampa quotidiana e periodica, di Internet – dovranno versare allo Stato lo 0,1 per cento del loro reddito complessivo (come definito dal Testo unico delle Imposte del 1986). E i soldi ricavati andranno a finanziare il Fondo per l’editoria. Questo prelievo di scopo viene introdotto da un emendamento di Annalisa Pannarale (Sel) alla proposta di legge che riforma i contributi pubblici ai giornali. L’emendamento è stato votato anche dal Pd, questa notte in Commissione Cultura alla Camera. Il provvedimento in esame andrà in aula il 22 febbraio e sarà approvato in prima lettura entro il mese, a meno di imprevisti.

Il Fondo per l’editoria sarà finanziato in modi diversi. Le risorse arriveranno dallo Stato, per 100 milioni dal recupero dell’evasione del canone Rai (“ma questa entrata – spiega la Pannarale di Sel – non è affatto certa”), da una parte delle multe che il Garante per le Comunicazioni  (AgCom) decide nei suoi provvedimenti. Ora – grazie all’emendamento votato stanotte – il Fondo verrà alimentato anche da questo prelievo sulla pubblicità.

In allarme è Confindustria Radio Tv – presieduta da Franco Siddi – che stima un impatto importante per le emittenti televisive, “soprattutto in anni che hanno segnato la contrazione delle entrate pubblicitarie”. Ma Confindustria Radio Tv vuole soprattutto capire se l’emendamento estende il prelievo – come sarebbe giusto, a suo parere – anche ai colossi di Internet, vere corazzate nell’offerta di nuove forme di pubblicità. L’emendamento dice che il prelievo toccherà – oltre alle concessionarie – altri soggetti “che esercitano l’intermediazione nel mercato della pubblicità” con riferimento a “tutte le piattaforme trasmissive, comprese le reti elettroniche”.

Al di là di questo prelievo, il provvedimento in esame esclude dal finanziamento pubblico i quotidiani e periodici di gruppi editoriali quotati. Per accedere ai contributi, gli editori dovranno dimostrare il “regolare adempimento degli obblighi” del contratto collettivo di lavoro, “nazionale o territoriale”.

Fonte: www.repubblica.it

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