Ugo Gregoretti (classe 1930) amava dire di essere nato due volte: la prima a Roma il 28 settembre di 89 anni fa da una tranquilla famiglia borghese e la seconda nel 1953 quando ad appena 23 anni entrò per la prima volta alla Rai da impiegato, un mese prima che la tv italiana si accendesse per la prima volta. Pur rimanendo per tutta la vita uno spirito libero, regista dissacrante, giornalista e autore fuori dagli schemi. Gregoretti deve molto alla televisione e questa gli deve forse anche di più perché fu uno dei pochi nell’intellighentia di sinistra a capire ed esaltare l’importanza e le potenzialità del nuovo mezzo di comunicazione e creazione artistica che avrebbe trasformato l’Italia.
E’ morto nella sua casa romana. L’aneddotica, di cui Gregoretti era maestro, vuole che dovendo trovare delle occupazioni al neo-assunto in Rai gli fosse affidata la ricerca del santo patrono della tv e quando, nella meraviglia generale, la sua candidatura di Santa Chiara fu approvata da Papa Pio XII, il ragazzo di bottega si conquistò i galloni di regista per la sua prima vera regia (dopo il documentario d’esordio su Piazza San Marco del 1956): un corto d’autore su “La Sicilia del Gattopardo” con cui vinse il Prix Italia, per l’epoca un vero Oscar della tv, nel 1960. L’anno dopo il suo primo vero programma “Controfagotto”: 8 puntate tra inchiesta e satira sociale nell’Italia minore che ebbero grande popolarità e gli permisero di coniare un linguaggio nuovo con una libertà espressiva venata di paradosso surreale che diventerà la sua cifra distintiva. C’era in quella serie di ritratti dedicati a personaggi e situazioni di un paese ancora sospeso tra città e campagna una vena potente che anticipava le grandi inchieste di altri cineasti come Soldati e Comencini, la candid camera di Nanni Loy, ma anche l’adesione empatica dell’intellettuale alla gente comune che poi Sergio Zavoli avrebbe tradotto in giornalismo televisivo maiuscolo.
Nel 1962 Ugo Gregoretti avvia anche la sua carriera cinematografica con i “I nuovi angeli” , un viaggio antologico a episodi tra la nuova generazione di adolescenti che cresceva all’ombra del boom economico. Girato a basso budget ma distribuito da Titanus, interpretato da attori non professionisti secondo la lezione del neorealismo, il film coglieva in nuce le aspirazioni sociali e l’etica politica di un autore che negli anni successivi avrebbe abbracciato l’ala più movimentista della Sinistra italiana in appassionata dialettica con l’ortodossia comunista. Da lì, prima e durante i fermenti del ’68, sarebbero nati i film più celebri e impegnati di Ugo, da “Il pollo ruspante”, episodio di “Ro.Go.Pa.G” a “Omicron” (entrambi del ’63) a “Apollon” (1969). Il suo stile dissacrante e gioiosamente beffardo si dispiegava però meglio in tv, quasi un controcanto alla cultura ufficiale, con sceneggiati memorabili tra “Il circolo Pickwick” (1968) a “Le tigri di Mompracem” (1974), da “Romanzo popolare italiano” (del ’75) a “Uova fatali” del ’77. Ma,a intervalli regolari, tornava poi al documentario militante (“Vietnam, scene del dopoguerra”, 1975 o “Comunisti quotidiani”, 1980) o si regalava incursioni nella sua altra grande passione, la musica operistica, come nell’autobiografico “Maggio musicale”, 1990.
Impegnato in politica e nell’attività associativa degli autori con l’Anac di cui è stato presidente, dissacrante osservatore di costume e intellettuale solo apparentemente distaccato, condivideva l’idea della satira come strumento rivoluzionario con quella generazione di maestri che aveva cambiato la scena del cinema italiano dagli anni ’50 in poi: Monicelli, Age&Scarpelli, Montaldo, Scola, Nanni Loy: quelli con cui ogni mercoledì divideva la mensa alla trattoria Otello in via della Croce a Roma. Ma altrettanto epici restano nella memoria i confronti e le battaglie politiche insieme a Citto Maselli, Gillo Pontecorvo, Giuliano Montaldo, tradotte poi negli ultimi film collettivi fino a “Scossa” del 2011: nottate spesso concluse nel segno dello stesso gusto per le grandi arie d’opera cantate insieme sfidandosi del repertorio dei compositori italiani. Infatti per Ugo Gregoretti il memorabile allestimento de “L’italiana in Algeri” del ’76 non fu episodio isolato ma una forma espressiva parallela culminata nella direzione del Teatro Stabile di Torino nei secondi anni ’80. Sposato dal 1964 con l’amatissima Fausta Capece Minutolo, padre di Lucio, Gianlorenzo, Filippo e dell’adorata Orsetta, celebrato nel 2010 con il Nastro d’Argento alla carriera, nel 2014 con il Premio del BiFest di Bari, Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana dal 2004, Gregoretti verrà ricordato come uno dei cineasti più originali della sua generazione e come un intellettuale nella migliore tradizione partenopea (quasi una patria d’elezione per amore della moglie) il cui spirito internazionale e colto sapeva coniugare come nessun altro con la forza satirica infiammata di passione segreta della tradizione romana.
Fonte: ANSA.