Si è spento domenica 21 dicembre all’età di 90 anni. Gianni Melidoni, grande giornalista sportivo che ha legato quasi tutta la sua carriera al Messaggero, dove era stato assunto a 20 anni, fino a diventare vice direttore.
E’ stato un giornalista autorevole, che nel quotidiano di via del Tritone aveva creato una redazione sportiva formidabile, scegliendo personalmente i suoi redattori.

I funerali si svolgeranno domani, 23 dicembre alle ore 9,30 a Santa Chiara in Piazza dei Giuochi Delfici.
“Ho perso un maestro e un amico – ha dichiarato il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio Guido D’Ubaldo – un professionista completo, che sapeva unire la grande capacità di dirigere la redazione a quella di saper essere anche un autorevole inviato di razza. Con il suo stile ha dato lustro all’intera categoria dei giornalisti sportivi italiani. Il suo esempio dovrebbe essere seguito da tutti i giovani che vogliono diventare giornalisti sportivi. Ha costruito la sua carriera con talento, rigore e carisma. Conserverò tra i miei ricordi più cari le lunghe chiacchierate sul futuro della nostra professione, così come i suoi preziosi consigli”.
Per ricordare Gianni Melidoni abbiamo chiesto a Federica Re David di tratteggiarne il profilo.
di Federica Re David
Lo scorso 16 agosto, quando ha compiuto 90 anni, Gianni Melidoni ha detto al Corriere delle Sera che avrebbe voluto essere ricordato come una persona per bene. Quindi, il minimo che possa fare è partire da qui. Esaudire il suo desiderio come lui, più di 40 anni fa, ha esaudito il mio, facendomi entrare nella meravigliosa redazione sportiva del Messaggero.
Ma mi viene facile, perché Gianni Melidoni era una persona per bene, uno che se ti faceva una promessa la manteneva, che se doveva rimproverarti lo faceva e se doveva premiarti ti premiava, e che non si faceva problemi a criticare e contestare, anche se questo poteva attirargli le ire di tifosi o uomini potenti.
Gianni Melidoni adorava la sua grande famiglia: la moglie Mariolina, i sei figli Antonio, Rita, Lisa, Laura, Elena e Giorgio, venivano prima di tutto. Era un uomo che teneva nel cuore le persone e nel loro cuore era felice di restare: bastava sentire l’allegria con cui rispondeva alle telefonate che, immancabilmente, gli arrivavano ad ogni Natale, ad ogni compleanno.
Gianni Melidoni ha fatto fare un salto in avanti al giornalismo sportivo e al Messaggero, dove, amava ripeterlo, era entrato per la prima volta “con i pantaloni corti”. E’ stato un privilegio esserci quando, con quella sua redazione fortissima, si è inventato l’inserto sportivo a colori del lunedì. Un successo straordinario per noi, un colpo duro per la concorrenza. Ed è stato un privilegio lavorargli accanto in un paio delle sue 11 Olimpiadi, ascoltarlo mentre dettava ai dimafoni i suoi articoli perfetti scritti a mano. Perché tra le tante cose che Gianni Melidoni ha avuto di speciale, c’è stata l’attenzione a quelli che si definivano “gli altri sport”. Il nuoto, che era un’altra delle sue grandi passioni nella vita, così come il mare.
L’atletica, che gli aveva dato una soddisfazione di cui andava fiero: nel 1960, fu l’unico a prevedere la vittoria di Livio Berruti sui 200 metri alle Olimpiadi di Roma.
Il calcio, certo, lo capiva come pochi. Era nato a Napoli, aveva seguito con entusiasmo i successi della Lazio di Maestrelli, ma tutti gli davano del romanista. Forse perché la Roma “a zona” di Liedholm e Falcao lo aveva davvero incantato e ne scriveva con ardore. Così come, con ardore, difendeva Arrigo Sacchi, allenatore di una Nazionale non vincente, e criticava Enzo Bearzot, che il Mondiale lo aveva vinto, ma questo non cancellava il suo peccato originale: non aver convocato Roberto Pruzzo, bomber della Roma.
Ogni martedì, il suo “Giro d’orizzonte” sul Messaggero era l’origine di un flusso ininterrotto di commenti e riflessioni: dal vivo o per telefono, giornalisti, tipografi, personaggi noti, volevano commentare con lui il suo commento alla giornata di campionato.
Un’altra cosa per cui dobbiamo ringraziare Gianni Melidoni? L’ingresso massiccio di firme femminili su quelle pagine sportive, che erano di esclusivo dominio maschile. Erano i primi anni Ottanta, e qualche redazione sportiva cominciava ad aprire le porte alle ragazze, ma nessuna lo fece tanto quanto quella guidata da Gianni Melidoni.
E poi il linguaggio, anche questo ci insegnava a cambiare. Chi scriveva di sport, doveva scrivere bene, con la stessa cura di chi scriveva di cultura, guai a considerare diversi i nostri lettori. E quindi, bando assoluto per la banalità. Vietato scrivere “insalatiera”, per definire la Coppa Davis, vietato scrivere “finalissima” di qualunque evento si trattasse, perché “se parliamo di una finale, il superlativo è già compreso”. E guai a definire “tifosi” coloro che si macchiavano di atti di violenza: “I veri tifosi non fanno gli scontri, quelli si chiamano teppisti”.
E’ impossibile dire tutto quello che Gianni Melidoni è stato per il Messaggero, un giornale cui ha dedicato buona parte della sua vita e dal quale si è allontanato con grande amarezza (in parte mitigata dalla soddisfazione di una causa vinta) dopo esserne stato vice direttore. Ma ci sono cose che non si possono dimenticare. L’arrivo di Carmelo Bene che riempiva di orgoglio e grandi parole lo sport con la sua rubrica sulla Roma dello scudetto. I mitici viaggi in macchina per le trasferte della domenica, con un po’ di brividi per chi lo accompagnava: perché a Gianni Melidoni piaceva guidare veloce, andare e tornare magari in giornata da Udine; in cambio, però, ti dava un regalo prezioso, l’opportunità di intervistare Zico.
E tutto, sempre, senza dimenticare che alla base di quella squadra compatta e affiatata c’era l’attenzione alla vita vera, quella che non andava sul giornale. Un giorno, da vicedirettore, mi convocò nella sua stanza. Ero preoccupata, avevo capito che si trattava di una cosa seria…”Cosa sai tu di questo Valerio Berruti che corteggia mia figlia Laura?”, mi chiese. Aveva saputo che Valerio ed io eravamo amici, ex compagni di scuola. Mi diede una grande responsabilità. “Stia tranquillo”, risposi (a dargli del tu in quanto collega non sono mai riuscita). “E’ un bravo ragazzo”. E così l’unione è stata benedetta. E ne sono contenta, perché Valerio è stato un grande compagno per Laura, negli anni della sua lunga malattia, insieme al loro figlio Giovanni.
Fino a quell’ultimo giorno, a giugno di due anni fa, che ha spezzato irrimediabilmente la vita di Gianni Melidoni.