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Cnog: pronte linee guida per riforma Ordine

Nuove modalità di accesso alla professione giornalistica, che prevedano accanto alla laurea anche un corso universitario di un anno; più vigilanza per l’iscrizione all’elenco dei …

Nuove modalità di accesso alla professione giornalistica, che prevedano accanto alla laurea anche un corso universitario di un anno; più vigilanza per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti, con un percorso biennale maggiormente documentato per verificare che non ci siano abusi e che l’attività sia svolta correttamente; la regolamentazione del settore degli uffici stampa con l’istituzione d i un registro. E poi il cambio del nome in Ordine del Giornalismo, affinché sia chiara la funzione di un’istituzione deputata per legge a garantire il diritto dei cittadini a essere informati nel rispetto dell’Art.21 della Costituzione. Sono i nodi centrali espressi nelle Linee Guida per la riforma dell’Ordine dei Giornalisti approvate a larga maggioranza la notte scorsa dal Consiglio Nazionale e presentate questa mattina a Roma. Mentre nel governo si discute di abolizione dell’Ordine e di tagli di finanziamento all’editoria, e il dibattito pubblico si infiamma in tema di fake news e credibilità del giornalismo, l’istituzione presieduta da Carlo Verna, a 55 anni dalla sua fondazione (nel 1963, legge n.69), ha presentato al Dipartimento per l’Editoria una proposta condivisa di riforma, per affrontare le nuove sfide del giornalismo con strumenti più adeguati al contesto storico, politico e culturale. In particolare, oltre all’attenzione alla deontologia professionale, il documento si concentra sull’accesso all’albo, sia per i professionisti che per i pubblicisti: per i primi, ferma restando la possibilità di frequentare comunque master e scuole di giornalismo, non ci sarà più il praticantato presso una testata, ma si prospetta l’iscrizione all’albo dopo aver conseguito una laurea (almeno triennale) e aver frequentato un corso annuale ‘di pratica’ da attuarsi d’intesa con l’Ordine; per i secondi invece il percorso biennale, che può avere inizio previa presentazione di una certificazione del direttore responsabile e l’iscrizione a un ente previdenziale, dovrà essere verificato ogni sei mesi, con la documentazione contabile dei pagamenti ricevuti e il riscontro dei corsi di formazione organizzati dall’odg. Impossibile a oggi stabilire però i tempi della riforma, che per essere applicata deve diventare legge e ha dunque bisogno del passaggio obbligato in Parlamento. Dopo l’eventuale approvazione, il Consiglio nazionale si riserva la possibilità di valutare gli effetti dei cambiamenti in due anni di regime transitorio. Nulla esclude comunque che si possa pensare in futuro all’istituzione di un albo unico, senza distinzioni. “A un anno dall’insediamento abbiamo fatto la nostra parte mandando le linee guida per la riforma dell’Ordine al Dipartimento per l’editoria: ora dobbiamo aspettare la risposta di governo e parlamento – spiega Carlo Verna, presidente dell’Odg nazionale -, abbiamo cambiato il nome in Ordine del Giornalismo perché resta centrale il diritto a essere informati: noi siamo un presidio a garanzia del cittadino. Vanno riformati la funzione deontologica dell’Ordine e l’accesso alla professione, perché i luoghi di lavoro che un tempo erano navi scuola non ci sono più e noi vogliamo evitare ogni sfruttamento”. Il presidente sottolinea l’importanza che la categoria sia unita “in un momento drammatico per il settore, in cui si minaccia di togliere sostegno alla piccola editoria mettendo a rischio il pluralismo”. Dello stesso avviso Beppe Giulietti, presidente di Fnsi: “Tra Fnsi e Ordine non c’è divisione. L’attacco all’Ordine spero che non si concretizzerà: noi abbiamo il dovere di dialogare con le forze di governo anche se è significativo che si parli di abolizione proprio ora che l’Ordine chiede nuovi strumenti di riforma e di esercitare maggiore controllo. Si sta tentando di aggredire la funzione di intermediazione del giornalista, per questo credo si debba chiedere un incontro al Presidente della Repubblica”. “Il fondo per l’editoria non c’è più da anni, e non ci sono grandi giornali finanziati con i soldi pubblici – conclude – con i tagli saranno colpiti cooperative, no profit e mondo diocesano”.

Fonte: ANSA.