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Riforma della Rai, avanti tutta. “Si parte a marzo”, insiste Matteo Renzi, dettando i tempi all’iniziativa del Pd sulla scuola. E spiega poi come la via maestra per modificare la governance resti il disegno di legge, purché lo si porti a casa in tempi brevi. Altrimenti, “se ci sono le condizioni di necessità e urgenza”, non si esclude il ricorso al decreto, “come prescrive la Costituzione”, sottolinea il premier, ospite in casa Rai dello studio di Lucia Annunziata. Non ci sarebbe ancora una data precisa per la presentazione in Consiglio dei ministri, ma il governo lavora a un testo articolato su più fronti: la revisione delle norme sulla governance, con la creazione di un vero amministratore delegato, un cda ridotto, forse a cinque membri, nominato in base a criteri che lascino la titolarità al Parlamento, ma prevedano meccanismi per garantire indipendenza dai partiti; la riforma del canone, per ridurre l’evasione; l’anticipo del rinnovo della convenzione, in scadenza nel 2016. Il punto di partenza è la convinzione che il governo dell’azienda, “oggi nelle mani di procedure burocratiche complicatissime, diventi più efficiente e più efficace”, ripete Renzi.

L’obiettivo è la radicale modifica delle norme vigenti: “Pensiamo che la Rai debba essere il grande motore dell’identità educativa e culturale del Paese e in quanto tale non possa essere normata da una legge che si chiama Gasparri. Lo dico perché ho un’idea dell’identità educativa e culturale diametralmente opposta a quella di Gasparri”. Affermazioni che provocano la reazione durissima dell’ex ministro (“Matteo Renzi è un vero imbecille”, twitta) e di tutta Forza Italia. L’orizzonte temporale è limitato: l’attuale vertice scade a fine aprile con l’approvazione del bilancio, ma la presidente Anna Maria Tarantola è entrata in carica a luglio. Il premier vuole arrivare al rinnovo in estate o, al massimo, in autunno con una nuova legge che riveda l’assetto, garantisca risorse certe, renda l’azienda competitiva e le restituisca il ruolo di “riferimento culturale in Europa”.

“La Rai è un patrimonio meraviglioso, ha fatto l’Italia unita, ha insegnato agli italiani a leggere, poi c’è stato un periodo in cui, non tanto per problematiche politiche ma anche per quelle, ha scelto di inseguire il modello dell’audience e della competizione interna, ha fatto un’altra cosa”. E’ ora che sia “meno un luogo dove i partiti si spartiscono i vice caporedattori, più un luogo con la politica con la ‘P’ maiuscola”. Si punta dunque a un percorso rapido in Parlamento, magari con quella “corsia preferenziale” che il renziano Michele Anzaldi chiede ai presidenti delle Camere Boldrini e Grasso “per rendere possibile una riforma tramite ddl”. Ma se non ci saranno i tempi, non si esclude la decretazione d’urgenza, nel rispetto della Costituzione per non creare frizioni con il Quirinale. Anche se fonti della maggioranza hanno spiegato che un dl sarebbe ipotizzabile solo in caso di uno stallo operativo dell’azienda o di un grosso buco di bilancio (l’esercizio 2014 dovrebbe chiudere in leggero utile) e non per modificare la governance. L’annunciata rivoluzione spinge sulle barricate Forza Italia.

“La Gasparri ha modernizzato il sistema radio-tv. La sinistra non è mai stata capace di nulla di simile”, twitta Giovanni Toti. “Matteo Renzi spudorato, solito battutista, dimostra sua ignoranza e pochezza contenuti”, gli fa eco Renato Brunetta. Sulla stessa linea Paolo Romani: “Oggi la Rai è una vera e propria industria culturale, che può produrre ancora di più, ma solo grazie alla legge Gasparri”. “La riforma la fa il Parlamento e non Renzi”, replica il Movimento Cinque Stelle. Qualche distinguo anche da Pino Pisicchio (Misto), che auspica che il Parlamento “continui a poter garantire gli indirizzi e gli orientamenti di fondo” della tv pubblica. Plaude, invece, l’Usigrai: “La riforma della governance è passaggio decisivo e indispensabile”, dice il sindacato dei giornalisti, che rivolge un appello a Governo e Parlamento: “Fate presto”.

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