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Pian piano si scopre che, nel mondo delle community, quella della radio è la più forte di tutte. Intanto perché è stato il primo mezzo davvero “social”, inventando praticamente il concetto stesso di comunità. Basti pensare, qui in Italia, al fenomeno delle radio private, veri e propri collettivi piccoli o grandi ma clamorosamente identificabili.

E poi perché la straordinaria duttilità della radiofonia ha consentito di reagire meglio di tanti altri formati all’arrivo del web. Così, come ha confermato l’altro giorno ai Radio Days di Milano (vero successo, tra l’altro) uno studio della Danish Broadcasting Corporation, i social network interagiscono più con la radio che con la tv: 30 persone su 100 chattano o postano tenendo la radio accesa mentre solo 26 lo fanno guardando un programma televisivo. Un dato seminale che può essere il rimedio all’emorragia di ascoltatori della fascia compresa tra i 10 e i 14 anni (60 per cento in meno rispetto al 2005. E che i dati italiani comunque confermano, visto che, almeno fino a qualche mese fa, la radio più social su Facebook è Radio Italia, seguita da Deejay e Rtl 102.5. Su Twitter invece Deejay supera 105 ed Rds (si parla di follower e non di engagement). Che cosa vuol dire. Vuol dire che in un futuro nel quale la radio sarà ascoltata sempre più con lo smartphone e sempre meno con lo strumento tradizionale, le prospettive di crescita sono enormi. Dopotutto la radio ha da sempre sviluppato il legame fideistico con gli ascoltatori, condividendo addirittura il linguaggio o altre forme di comunicazione. Perciò oggi ovviamente si trova un inatteso capitale aggiuntivo da spendere.

Fonte: Il Giornale

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